La parola è d’argento, il silenzio è d’oro

Nel 1932 il proverbio è stato descritto da Richard Jente come “di origine orientale”; e nel 1999 David J. Wasserstein ha notato che quell’origine orientale menzionata da un certo numero di scrittori precedenti è molto probabilmente il proverbio aramaico sui sicli, poiché collega la parola, il silenzio e il valore monetario.:241 Il proverbio è entrato in aramaico molto probabilmente attraverso la cultura araba, dato che è stato ampiamente usato anche nella lingua araba, ed è stato registrato dallo studioso musulmano dell’XI secolo Al-Raghib al-Isfahani e dallo scrittore del IX secolo Al-Jahiz, quest’ultimo scrivendo “se la parola fosse d’argento, allora il silenzio sarebbe d’oro”.:244-247 Il proverbio era conosciuto anche nella Spagna islamica, ed è stato scritto da Ibn Hayyan di Cordoba nel XI secolo.:254 In alcune opere arabe questo proverbio è stato attribuito al re Salomone, ma Wasserstein nota che non ci sono prove verificabili per tale origine (dato che non è stata trovata nessuna antica versione ebraica di questo proverbio); nota anche che alcune altre opere arabe attribuiscono il proverbio a Luqman il Saggio, di nuovo senza prove verificabili di tale origine, e conclude che le vere origini sono probabilmente perse nella storia, con le fonti più antiche sopravvissute che cercano semplicemente di attribuire il proverbio ai “saggi di un tempo”.:247-248

Secondo Wasserstein, il proverbio entrò molto probabilmente nella cultura occidentale attraverso il lavoro di un ebreo spagnolo, Santob de Carrion, noto anche come Shem Tob ben Isaac Ardutiel, uno scrittore ebreo del XIV secolo e un traduttore di testi arabi, e da lì in poi nei secoli successivi divenne usato in spagnolo, e infine in altre lingue europee.:257-258 Secondo Jente, divenne popolare in Germania all’inizio del XIX secolo e poi si diffuse nella lingua inglese, probabilmente attraverso gli immigrati tedeschi negli Stati Uniti. Wasserstein ha notato che il suo primo uso registrato in inglese è Sartor Resartus, un romanzo del 1836 dello scrittore scozzese Thomas Carlye (che per una ragione sconosciuta lo attribuì ad una “iscrizione svizzera”).:239 L’origine del proverbio nella lingua inglese è stata discussa in una serie di scambi nella rivista letteraria Notes and Queries nella seconda metà del XIX secolo, dove diversi collaboratori lo discussero nel contesto del lavoro di Carlye.:242

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