Trattato a Giovanni XXII
Ockham incontrò nuovamente Giovanni Lutterell ad Avignone; in un trattato indirizzato a Papa Giovanni XXII, l’ex cancelliere di Oxford denunciò l’insegnamento di Ockham sulle Sentenze, estraendone 56 proposizioni che dimostrò essere in grave errore. Lutterell divenne allora membro di una commissione di sei teologi che produsse due rapporti successivi basati su estratti del commento di Ockham, di cui il secondo era più severamente critico. Ockham, tuttavia, presentò al papa un’altra copia dell’Ordinatio in cui aveva apportato alcune correzioni. Sembrava che sarebbe stato condannato per il suo insegnamento, ma la condanna non arrivò mai.
Al convento dove risiedeva ad Avignone, Ockham incontrò Bonagratia di Bergamo, un dottore in diritto civile e canonico che era perseguitato per la sua opposizione a Giovanni XXII sul problema della povertà francescana. Il 1° dicembre 1327, il generale francescano Michele da Cesena arrivò ad Avignone e soggiornò nello stesso convento; anche lui era stato convocato dal papa in relazione alla disputa sul possesso dei beni. Erano in disaccordo sul problema teorico se Cristo e i suoi Apostoli fossero stati proprietari dei beni che usavano; cioè se avessero rinunciato a ogni proprietà (sia privata che corporativa), al diritto di proprietà e al diritto all’uso della proprietà. Michele sosteneva che poiché Cristo e i suoi Apostoli avevano rinunciato a tutta la proprietà e a tutti i diritti di proprietà, i francescani erano giustificati nel tentare di fare la stessa cosa.
I rapporti tra Giovanni e Michele peggiorarono costantemente, a tal punto che, il 26 maggio 1328, Michele fuggì da Avignone accompagnato da Bonagratia e Guglielmo. Ockham, che era già testimone di un appello redatto segretamente da Michele il 13 aprile, appoggiò pubblicamente l’appello in settembre a Pisa, dove i tre francescani si trovavano sotto la protezione dell’imperatore Luigi IV il Bavaro, che era stato scomunicato nel 1324 e proclamato da Giovanni XXII decaduto da ogni diritto sull’impero. Lo seguirono a Monaco nel 1330, e da allora Ockham scrisse con fervore contro il papato in difesa sia della rigida nozione francescana di povertà che dell’impero.
Invitato dal suo superiore generale nel 1328 a studiare tre bolle papali sulla povertà, Ockham trovò che esse contenevano molti errori che dimostravano che Giovanni XXII era un eretico che aveva perso il suo mandato a causa della sua eresia. Il suo status di pseudo-papa fu confermato secondo Ockham nel 1330-31 dai suoi sermoni che proponevano che le anime dei salvati non godessero della visione di Dio immediatamente dopo la morte, ma solo dopo essersi ricongiunti con il corpo al Giudizio Universale, un’opinione che contraddiceva la tradizione e che fu infine respinta.
Tuttavia, la sua principale controversia rimase la questione della povertà, che riteneva così importante per la perfezione religiosa da richiedere la disciplina di una teoria: chi sceglie di vivere sotto la regola evangelica di San Francesco segue le orme di Cristo che è Dio e quindi re dell’universo ma che è apparso come un povero, rinunciando al diritto di proprietà, sottomettendosi al potere temporale e desiderando regnare su questa terra solo attraverso la fede che gli è stata conferita. Questo regno si esprime nella forma di una chiesa organizzata ma che non ha un’autorità infallibile – né da parte di un papa né di un concilio – ed è essenzialmente una comunità di fedeli che è durata nei secoli ed è sicura di durare ancora, anche se temporaneamente ridotta a pochi, o addirittura a uno; tutti, senza distinzione di stato o di sesso, devono difendere nella chiesa la fede che è comune a tutti.
Per Ockham il potere del papa è limitato dalla libertà dei cristiani che è stabilita dal vangelo e dalla legge naturale. È quindi legittimo e conforme al Vangelo schierarsi con l’impero contro il papato o difendere, come fece Ockham nel 1339, il diritto del re d’Inghilterra di tassare i beni della chiesa. Dal 1330 al 1338, nel calore di questa disputa, Ockham scrisse 15 o 16 opere più o meno politiche; alcune di esse furono scritte in collaborazione, ma l’Opus nonaginta dierum (“Opera dei 90 giorni”), la più voluminosa, fu scritta da solo.