Il film mi ricorda uno di quei thriller degli anni 40, come Follow Me Quietly (1949). Basato su fatti, Sundown parla di un assassino fantasma che infesta i vicoli degli innamorati a Texarkana, e degli sforzi della polizia per catturarlo. Naturalmente, senza la mano pesante del Production Code degli anni ’40, Sundown è molto più grafico di qualsiasi cosa di quel decennio precedente.
Importante, comunque, questo non è un film slasher. C’è un po’ di sangue e violenza, ma l’effetto principale viene dal reparto audio più grande del solito. Le urla delle vittime sono implacabili e snervanti. Le ragazze sembrano davvero terrorizzate. Poi c’è il respiro pesante dell’assassino incappucciato, che è l’unico suono che emette e agghiacciante quanto le urla.
Crediamo al produttore-regista Pierce di aver fatto un uso accorto di un piccolo budget. Le location dell’Arkansas aggiungono sia colore che autenticità, insieme ai disegni non forzati dei protagonisti Johnson e Prine, nati nel sud. Il film fa anche un buon lavoro nel ricreare l’ambiente degli anni ’40, anche per quanto riguarda i calzettoni delle ragazze che riportano alla mente bei ricordi. La mia unica lamentela riguarda Pierce, che dovrebbe dedicarsi alla produzione e alla regia, perché il suo ruolo dell’inetto poliziotto Benson è troppo sfasato e sciocco per il film nel suo insieme.
A giudicare da alcune ricerche su Google, sembra che la sceneggiatura si attenga abbastanza ai fatti generali di un caso che sembra anche essere entrato nel regno del folklore regionale. Data l’inquietudine, posso capire perché. In ogni caso, il risultato complessivo è un gioco di chiodi nella tradizione eccezionale dei B-movie chillers, con un risultato piuttosto sorprendente.