La razionalizzazione ha costituito un concetto centrale nella fondazione della sociologia classica, in particolare per quanto riguarda l’enfasi che la disciplina ha posto – in contrasto con l’antropologia – sulla natura delle moderne società occidentali. Il termine è stato presentato dall’antipositivista tedesco Max Weber, profondamente influente, anche se i suoi temi sono in parallelo con le critiche alla modernità esposte da diversi studiosi. Un rifiuto del dialettismo e dell’evoluzione socioculturale informa il concetto.
Weber ha dimostrato la razionalizzazione in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in cui si dimostra che gli obiettivi di alcune teologie protestanti, in particolare il calvinismo, si sono spostati verso mezzi razionali di guadagno economico come un modo per affrontare la loro ‘ansia di salvezza’. Le conseguenze razionali di questa dottrina, egli sostiene, divennero presto incompatibili con le sue radici religiose, e così queste ultime furono alla fine scartate. Weber continua la sua indagine su questo argomento nelle opere successive, in particolare nei suoi studi sulla burocrazia e sulle classificazioni dell’autorità. In queste opere allude ad un inevitabile movimento verso la razionalizzazione.
Weber credeva che un movimento verso l’autorità razionale-giuridica fosse inevitabile. Nell’autorità carismatica, la morte di un leader pone effettivamente fine al potere di quell’autorità, e solo attraverso una base razionalizzata e burocratica questa autorità può essere trasmessa. Anche le autorità tradizionali nelle società razionalizzate tendono a sviluppare una base razionale-legale per garantire meglio un’adesione stabile. (Vedi anche: Classificazione tripartita dell’autorità)
Quello che Weber rappresentava non era solo la secolarizzazione della cultura occidentale, ma anche e soprattutto lo sviluppo delle società moderne dal punto di vista della razionalizzazione. Le nuove strutture della società erano segnate dalla differenziazione dei due sistemi funzionalmente interconnessi che avevano preso forma intorno ai nuclei organizzativi dell’impresa capitalista e dell’apparato statale burocratico. Weber ha inteso questo processo come l’istituzionalizzazione dell’azione economica e amministrativa finalizzata e razionale. Nella misura in cui la vita quotidiana era influenzata da questa razionalizzazione culturale e sociale, le forme di vita tradizionali – che nel primo periodo moderno erano differenziate principalmente in base al proprio mestiere – si dissolvevano.
– La coscienza del tempo della modernità di Jürgen Habermas,
Se nelle società tradizionali come il feudalesimo il governo è gestito sotto la guida tradizionale, per esempio, di una regina o di un capo tribù, le società moderne operano secondo sistemi giuridico-razionali. Per esempio, i sistemi democratici tentano di porre rimedio a preoccupazioni qualitative (come la discriminazione razziale) con mezzi razionalizzati e quantitativi (per esempio, la legislazione sui diritti civili). Weber ha descritto gli effetti finali della razionalizzazione nel suo Economia e società come una “notte polare di gelida oscurità”, in cui la crescente razionalizzazione della vita umana intrappola gli individui in una “gabbia di ferro” (o “involucro duro come l’acciaio”) di controllo razionale basato sulle regole.
Jürgen Habermas ha sostenuto che comprendere correttamente la razionalizzazione richiede di andare oltre la nozione di razionalizzazione di Weber. Richiede di distinguere tra razionalità strumentale, che implica il calcolo e l’efficienza (in altre parole, la riduzione di tutte le relazioni a quelle di mezzi e fini), e razionalità comunicativa, che implica l’espansione della portata della comprensione reciproca nella comunicazione, la capacità di espandere questa comprensione attraverso un discorso riflessivo sulla comunicazione, e rendere la vita sociale e politica soggetta a questa comprensione estesa.
È chiaro che in La teoria dell’azione comunicativa Weber sta giocando qualcosa come il ruolo che Hegel ha giocato per Marx. Weber, per Habermas, non deve essere tanto messo a testa in giù (o rimesso a posto) quanto persuaso a stare su due gambe piuttosto che su una, a sostenere la sua teoria della modernità con analisi più sistematiche e strutturali di quelle della razionalizzazione (propositiva-razionale) dell’azione … Weber “si separa da una teoria dell’azione comunicativa” quando definisce l’azione nei termini in cui l’attore le attribuisce un significato soggettivo. Egli non chiarisce il “significato” in relazione al modello del discorso; non lo mette in relazione con il mezzo linguistico di possibile comprensione, ma con le credenze e le intenzioni di un soggetto che agisce, preso in isolamento. Questo lo porta alla sua familiare distinzione tra azione valore-razionale, purposive-rational, tradizionale e affettiva. Ciò che Weber avrebbe dovuto fare, invece, era concentrarsi non sugli orientamenti dell’azione ma sulle strutture generali del mondo della vita a cui appartengono i soggetti agenti.
– William Outhwaite Habermas: Key Contemporary Thinkers 1988,
L’Olocausto, la modernità e l’ambivalenzaModifica
La linea ferroviaria che porta al campo di sterminio di Auschwitz II (Birkenau).
Per Zygmunt Bauman, la razionalizzazione come manifestazione della modernità può essere strettamente associata agli eventi dell’Olocausto. In Modernity and Ambivalence, Bauman ha cercato di rendere conto dei diversi approcci che la società moderna adotta nei confronti dello straniero. Ha sostenuto che, da un lato, in un’economia orientata al consumo, lo strano e il non familiare è sempre allettante; in diversi stili di cibo, diverse mode e nel turismo è possibile sperimentare il fascino di ciò che non è familiare.
Tuttavia questa stranezza ha anche un lato più negativo. Lo straniero, poiché non può essere controllato e ordinato, è sempre oggetto di paura; è il potenziale rapinatore, la persona fuori dai confini della società che è costantemente minacciosa. Il libro più famoso di Bauman, Modernity and the Holocaust, è un tentativo di dare un resoconto completo dei pericoli di questo tipo di paure. Attingendo ai libri di Hannah Arendt e Theodor Adorno sul totalitarismo e l’Illuminismo, Bauman sostiene che l’Olocausto non dovrebbe essere considerato semplicemente un evento della storia ebraica, né una regressione alla barbarie premoderna. Piuttosto, dice, l’Olocausto dovrebbe essere visto come profondamente connesso alla modernità e ai suoi sforzi per creare ordine. La razionalità procedurale, la divisione del lavoro in compiti sempre più piccoli, la categorizzazione tassonomica delle diverse specie e la tendenza a considerare il rispetto delle regole come moralmente buono, hanno tutti giocato il loro ruolo nel verificarsi dell’Olocausto.
Per questa ragione, Bauman sostiene che le società moderne non hanno recepito pienamente le lezioni dell’Olocausto; esso è generalmente visto – per usare la metafora di Bauman – come un quadro appeso a una parete, che offre poche lezioni. Nell’analisi di Bauman, gli ebrei sono diventati “estranei” per eccellenza in Europa; la Soluzione Finale è stata dipinta da lui come un esempio estremo dei tentativi fatti dalle società per eliminare gli elementi scomodi e indeterminati esistenti al loro interno. Bauman, come il filosofo Giorgio Agamben, sosteneva che gli stessi processi di esclusione che erano all’opera nell’Olocausto potevano, e in una certa misura lo fanno, entrare in gioco ancora oggi.
La definizione di “illuminazione” di Adorno e Horkheimer Edit
Nella loro analisi della società occidentale contemporanea, Dialettica dell’Illuminismo (1944, rivista nel 1947), Theodor Adorno e Max Horkheimer hanno sviluppato un concetto ampio e pessimistico di illuminazione. Nella loro analisi, l’illuminismo aveva il suo lato oscuro: mentre cercava di abolire la superstizione e i miti attraverso la filosofia ‘fondazionalista’, ignorava la propria base ‘mitica’. I suoi sforzi verso la totalità e la certezza portarono a una crescente strumentalizzazione della ragione. Dal loro punto di vista, l’illuminismo stesso dovrebbe essere illuminato e non porsi come una visione del mondo ‘senza mito’. Per la filosofia marxista in generale, la razionalizzazione è strettamente associata al concetto di “feticismo della merce”, per la ragione che non solo i prodotti sono progettati per adempiere a certi compiti, ma anche i dipendenti sono assunti per adempiere a compiti specifici.