La recensione di ‘The Whole Truth’: Keanu Reeves dà il meglio di sé nel mezzo di un depistaggio

Lionsgate Premiere

A prescindere dal mezzo, le storie giudiziarie sono intrinsecamente legate al loro verdetto. Mentre alcuni di questi drammi mettono in primo piano le sfumature dei personaggi o un’accusa al sistema giudiziario, l’attesa di un “Colpevole” o “Non colpevole” è il combustibile elementare per il fuoco drammatico. “The Whole Truth”, l’ultimo del regista di “Frozen River” Courtney Hunt, conserva quel binario di innocenza per le persone che popolano la sua storia. Il padre prepotente, l’avvocato sfacciato, il figlio incompreso, il giovane avvocato: tutti esistono su estremità chiaramente definite dello spettro. Il risultato è un film che spesso evita qualsiasi via di mezzo, rendendo un racconto di corte tagliente che vuole disperatamente essere qualcosa di diverso.

La prima speranza che “The Whole Truth” possa trovare una strada per trascendere i familiari ritmi di “Law & Order” è il turno di Keanu Reeves come Richard Ramsay, che riesce a trasudare il familiare personaggio di avvocato alfa in modo controllato (e, a volte, sommesso). Il cliente di Ramsay è il giovane Mike Lasseter (Gabriel Basso), un adolescente imbronciato sotto processo per l’omicidio del suo odioso padre (Jim Belushi).

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Per il dispiacere iniziale della madre di Mike, Loretta (Renée Zellweger), Ramsay assume un altro membro del team di difesa. Janelle Brady (Gugu Mbatha-Raw) arriva con il proprio arco di redenzione, all’ombra del padre avvocato di successo. L’iniziale parata tra Janelle e Ramsay mentre analizzano lo stile personale e professionale dell’altro aggiunge una necessaria dose di leggerezza. Ma man mano che i ritmi procedurali del caso di Mike e i dettagli del crimine in questione inghiottono l’attenzione del film, rimane poco spazio per i tocchi di personalità che potrebbero elevare questo film dall’essere una normale tariffa legale.

Keanu Reeves e Renée Zellweger in “The Whole Truth”

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Anche se la sceneggiatura di Rafael Jackson si prende del tempo per includere la testimonianza di tutti i testimoni presenti in una lista cospicuamente piccola, la maggior parte dei dettagli rilevanti proviene da sequenze di flashback fuori dall’aula del tribunale. I più coinvolgenti sono i vaghi e fugaci scorci che Hunt incorpora in modo nebuloso e inavvertito. Ma quelle sequenze che ottengono il trattamento flashback completo sono sempre doppie sirene di indizi clamorosi. Di conseguenza, questi ricordi vengono assemblati in una chiara gerarchia che non riguarda tanto il modo in cui questi ricordi funzionano, quanto piuttosto la creazione di una struttura esplicita della trama.

Questo, a sua volta, fa pochi favori al cast di “The Whole Truth”. Nel ruolo del padre di Mike, Jim Belushi mostra di essere capace di interpretare la canaglia che lo rende un cattivo spregevole. Ma il suo personaggio esiste puramente per essere un fioretto, il modo del film di stabilire un personaggio fuori misura per tenere il pubblico a guardare da una parte prima di riportarlo indietro verso un’altra.

La backstory di Janelle (che, come descritto da lei, suona come una versione molto più oscura dello show più adorato dalla critica della CW) è trascurata tanto velocemente quanto serve al suo scopo per il caso. Ma nonostante l’incarico di essere l’adolescente scontroso e pensieroso, l’elemento di spicco del film è Gabriel Basso, che lascia trapelare in superficie il tumulto interiore di Mike. Silenzioso per gran parte del film, prende elementi di un familiare racconto di vendetta e fa tutto ciò che è in suo potere per salvare la sua trama da alcune torbide acque etiche.

Gabriel Basso e Keanu Reeves in “The Whole Truth”

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Il film di debutto di Courtney Hunt “Frozen River” ha approfittato della sua ambientazione al confine canadese, intessendola nel tessuto del racconto di immigrazione del film. Qui, ci sono pochi cenni ai dintorni del tribunale della Louisiana al di fuori di alcuni grilli molto rumorosi. Quando la maggior parte del film si svolge su un aereo privato e nel cortile di una villa, non ci sono molte occasioni per tornare indietro oltre l’angoscia suburbana amplificata.

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E mentre l’illuminazione naturale del tribunale e il relativo ritmo paziente della testimonianza potrebbero suggerire un approccio più organico a questo tipo di dramma, c’è ancora una soffocante aria di inevitabilità nella struttura a flashback. Indipendentemente dal colpevole o dal verdetto della giuria, non è mai in dubbio che la “vera” storia sarà rivelata a tempo debito. Ci possono essere delle meditazioni momentanee sulla natura della verità, ma una volta che è evidente che questa storia sta precipitando verso una conclusione inequivocabile, la storia viene privata di qualsiasi valore di intrattenimento tattico.

I minuti finali del film offrono alcune informazioni che ribaltano alcune ipotesi precedentemente formulate, ma è una coda innestata piuttosto che un pugno allo stomaco ben coreografato. Manca in quel prolisso epilogo? La voce fuori campo intermittente di Ramsay, che occasionalmente affiora nel corso del film per martellare dettagli del personaggio che erano già evidenti. È significativo che l’unica volta che si tira indietro è quando non c’è più niente da dire.

Valutazione: C+

“Tutta la verità” è ora nei cinema.

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