Un’antica tradizione degli ebrei divideva la raccolta dei loro libri sacri in tre grandi divisioni: la Legge (Pentateuco), i Profeti (Antico e Ultimo) e gli Scritti. Inclusi nella terza divisione ci sono i Salmi e materiali sapienziali come Giobbe, Proverbi ed Ecclesiaste (anche alcuni salmi e probabilmente il Cantico dei Cantici – vedi introduzione a quel libro: Interpretazione).
Questa letteratura sapienziale è solitamente associata ai saggi che sono menzionati insieme ai sacerdoti e ai profeti come una forza importante nella società israelita (vedi, ad esempio, Ger 18,18 e nota). Queste persone dotate erano riconosciute come in possesso di un’ampia conoscenza del mondo creato (vedi 1Ki 4:29-34), di una speciale comprensione degli affari umani (come esemplificato dai proverbi) e di un giudizio eccezionalmente buono riguardo alle linee d’azione da seguire per raggiungere il successo in varie imprese (vedi 2Sa 16:15-23). In generale, i sacerdoti e i profeti si occupavano di questioni religiose e morali (proclamare, insegnare, interpretare e applicare la parola di Dio al suo popolo), mentre i saggi si concentravano generalmente più sugli aspetti pratici di come la vita dovrebbe essere guidata nell’ordine creato delle cose (Proverbi) e sulle sfide intellettuali che nascono dalle ambiguità dell’esperienza umana (Giobbe, Ecclesiaste).
I saggi di Israele riflettevano sulla vita alla luce delle rivelazioni speciali di Dio al suo popolo, ma per il loro contributo unico alla comprensione di come le persone dovrebbero vivere nel mondo di Dio, attinsero molto all’esperienza umana dell’ordine creato. In questo impararono molto dai saggi e dalle tradizioni sapienziali di altri popoli. Il confronto dei loro scritti con quelli dei loro vicini rivela la loro conoscenza del più ampio mondo intellettuale del Vicino Oriente antico, ma anche la prospettiva distintiva che portarono alle loro riflessioni sulla condizione umana.