Quella produzione avrebbe accelerato. All’inizio degli anni ’80 era sobrio e aveva iniziato un decennio prolifico, sfornando romanzi, opere teatrali, poesia e giornalismo. Nel suo romanzo del 1983, “Angels”, un personaggio nel braccio della morte siede legato in una camera a gas ascoltando quasi estasiato il battito del suo cuore mentre aspetta la fine.
“Boom … Boom! C’è mai stato qualcosa di così bello come quello?”. scrisse il signor Johnson. “Un’altra venuta … boom! Bellissimo! Non c’è niente di meglio di questo. Stava facendo l’ultimo respiro della sua vita prima di rendersi conto che lo stava facendo.”
Nel 1992 ha pubblicato “Jesus’ Son”, una raccolta di 11 racconti su piccoli crimini e omicidi in un disperato paesaggio americano. Ognuno è collegato dallo stesso narratore tossicodipendente.
Il signor Johnson ha detto al New York Times che il suo narratore – il tipo di americano selvaggio che spara alla gente – è qualcuno che piacerebbe alle persone nei programmi dei 12 passi. “Jung una volta disse che dentro ogni alcolizzato”, ha detto, “c’è un cercatore che ha preso la strada sbagliata.”
Alcuni critici hanno definito “Jesus’ Son” il capolavoro del signor Johnson.
Nel New Yorker, John Updike ha paragonato lo stile del signor Johnson alla “lucente economia” del giovane Ernest Hemingway. E sul Times, James McManus ha scritto che l’universo del signor Johnson “è un luogo dove i tentativi di salvezza rimangono radicalmente provvisori e dove un’architettura narrativa traballante esprime in modo incantato sia i tratti cristici che quelli patologici della mente”.