Ricasoli nacque a Firenze. Rimasto orfano a diciotto anni, con un patrimonio pesantemente gravato, fu per decreto speciale del granduca di Toscana dichiarato maggiorenne e affidato alla tutela dei suoi fratelli minori. Interrompendo gli studi, si ritirò a Brolio, e con un’attenta gestione disimpegnò i beni di famiglia. Nel 1847 fondò la rivista La Patria, e indirizzò al granduca un memoriale in cui suggeriva i rimedi alle difficoltà dello stato. Nel 1848 fu eletto Gonfaloniere di Firenze, ma si dimise a causa delle tendenze antiliberali del granduca.
Come ministro toscano dell’interno nel 1859 promosse l’unione della Toscana al Piemonte, che avvenne il 12 marzo 1860. Eletto deputato italiano nel 1861, succedette a Cavour nella premiership. Come premier ammise i volontari garibaldini nell’esercito regolare, revocò il decreto di esilio contro Mazzini, e tentò la riconciliazione con il Vaticano; ma i suoi sforzi furono resi inefficaci dal non possumus del papa.
Disdegnando gli intrighi del suo rivale Rattazzi, si trovò costretto nel 1862 a rinunciare alla carica, ma tornò al potere nel 1866. In questa occasione rifiutò l’offerta di Napoleone III di cedere il Veneto all’Italia, a condizione che l’Italia abbandonasse l’alleanza prussiana, e rifiutò anche la decorazione prussiana dell’Aquila Nera perché La Marmora, autore dell’alleanza, non doveva riceverla.
Al momento della partenza delle truppe francesi da Roma alla fine del 1866 tentò nuovamente di conciliare il Vaticano con una convenzione, in virtù della quale l’Italia avrebbe restituito alla Chiesa i beni degli ordini religiosi soppressi in cambio del pagamento graduale di 24.000.000. Per placare il Vaticano concesse l’exequatur a quarantacinque vescovi ostili al regime italiano. Il Vaticano accettò la sua proposta, ma la Camera italiana si dimostrò refrattaria e, sebbene sciolta da Ricasoli, tornò più ostile di prima. Senza aspettare un voto, Ricasoli si dimise dalla carica e da allora in poi scomparve praticamente dalla vita politica, parlando alla Camera solo in rare occasioni. Morì nel suo Castello di Brolio il 23 ottobre 1880.
Il barone creò la moderna ricetta del vino Chianti; l’azienda di famiglia produce ancora vino a Brolio.
La sua vita privata e la sua carriera pubblica furono segnate dalla massima integrità e da una rigida austerità che gli valse il nome di Barone di Ferro. Nonostante il fallimento del suo progetto ecclesiastico, rimane una delle figure più notevoli del Risorgimento italiano.